giovedì 25 luglio 2013

The Human Library...a confronto con la diversità


E se invece di sfogliare un "semplice libro", ci fosse offerta l'opportunità di leggere tra le righe della vita di qualcun'altro?

Leggere un libro ci avvolge e coinvolge permettendoci di entrare in una dimensione emotiva di piena condivisione...e allora quale miglior modo di confrontarsi con l'esperienza altrui, se non l'empatia?...
E se questo incontro non fosse fortuito, semplicemente dettato dal caso, ma consapevolmente scelto tra le storie di vita di chi vuol condividere qualcosa di sé?

TheHuman Library (La Biblioteca Vivente) nasce a Copenaghen in Danimarca nel 2000 per iniziativa dell’associazione “Stop The Violence" durante il Festival di Roskilde, come risposta ad un'aggressione razzista ai danni di un amico degli organizzatori, diventando poi un appuntamento fisso di molti festival musicali del nord e dell'est Europa. E' in questo contesto che per la prima volta si sperimenta un interessante gioco di ruolo contro stereotipi e pregiudizi; un gioco in cui i protagonisti costruiscono la relazione sulla possibilità di raccontarsi, dove chi parla scopre la sua quotidianità, spesso fatta di emarginazione, e chi legge si predispone ad un ascolto, per quanto possibile, privo di giudizio; una dimensione di scambio che non sempre viene contemplata nell'atto di discutere, un'occasione per conoscere e confrontarsi anche con chi normalmente non avremmo l'occasione di vivere.
Il format, nato tra i concerti di musica Rock, venne  così scoperto e rielaborato nel 2003 ad opera di Antje Rothemund, direttrice del Consiglio Europeo dell’European Youth Centre di Budapest che lo inserì come buona pratica all’interno della campagna “Tutti uguali e tutti diversi”, un progetto contro ogni forma di discriminazione.
Dopo esser stata adottata come strumento di formazione ai Diritti e alla Diversità da molte realtà sociali e associazioni in tutto il mondo, nel 2007 la Biblioteca Vivente approda anche in Italia, nella città di Torino durante il GayPride per iniziativa del comitato "All different All equal" e del Tavolo Interminoranze; successivamente, con l'insistenza di un tam tam, si diffonde di città in città moltiplicando le esperienze positive e i progetti ad essa legati...











ecoV

domenica 17 marzo 2013

Progetto India. Disabili e dignità. Divya Jyoti disabled development society

La vita delle persone disabili in India è molto difficile. Molto spesso gravano su di loro pregiudizi sociali, o legati al fattore religioso, che le relegano ai margini della società.
Secondo la religione indusita cono considerati il frutto di una reincarnazione dovuta ad un karma negativo, quindi un sorta di punizione, una condizione da scontare per la propria precedente condotta negativa.
I disabili, che appartengono soprattutto a famiglie povere, sono tra i 40 e i 90 milioni di persone. La loro condizione fa sì che abbiano meno accesso al lavoro rispetto al resto della popolazione e anche da bambini i problemi non mancano: la loro possibilità di frequentare la scuola è quattro o cinque volte inferiore a quella degli altri.
La disabilità inoltre è anche causa di povertà. Alcuni codici di famiglia dei sistemi di legge indù, quelli Mitakshara e Dayabhagha in particolare, prevedono, infatti, che una persona disabile sia esclusa dall'asse ereditario, e malgrado una legge del 1995 che restituisce dignità e ruolo sociale ai disabili, la strada da compiere è ancora in salita.


Nel 2010 sono stata in India per una viaggio di turismo responsabile con ViaggieMiraggi e a Varanasi ho conosciuto Divya Jyoti disabled development society, un' associazione guidata da una coppia, Nathan e Sheela, che si occupa di disabili mentali.
L'associazione si finanzia grazie alla vendita degli oggetti di artigianato del progetto Hand Made prodotti dagli ospiti (candele, bustine di stoffa, quaderni...) e alla donazioni, non facili da trovare.
Il ruolo svolto da questa realtà è molto importante, e lo è ancora di più in realzione al contesto in cui opera, sopra tratteggiato.
Ho così deciso di cominciare a dare una mano con una piccola campagna di raccolta fondi, alla quale è possibile contribuire sia versando una quota libera sia dando una mano con il passaparola per far conoscere l'iniziativa. Sul sito http://india.dianaseverati.com trovate le informazioni. La campagna, lanciata il 10 Marzo 2013, si chuderà il 10 Aprile 2013, con la rendicontazione trasparente della raccolta.

Fonti foto: Diana 
Diana

venerdì 15 febbraio 2013

Prezzi Stracciati. di Più: Regalati



Lo confesso: questo è un articolo di parte. Per prima cosa, chi scrive ha un debole per il baratto. Aperto, selvaggio e chiacchierone. Seconda debolezza: il mal di shopping. Non quello dei fashion victims, l’opposto. Sarà snob, eppure avere mal di testa tutte le volte che si viene trascinati in centri commerciali o lungo le tangenziali del consumo non è un problema da poco.«E i saldi? Come, non li sfrutti?!» domanda la parte mondana di me alla parte barattosa. « E se il mio portafoglio fosse affamato solo di diete?». Ebbene sì, cari shopping-patici, esiste qualcosa di meglio di uno sconto da urlo


Esistono gli umsolstladen! Il termine vagamente tetesco dice già tutto: in Italia non ci sono. O meglio: non esiste una vera, efficiente rete di free shop. Se però vi capita di salire dalle parti delle Alpi, magari per un’ ultima passeggiata invernale ad alta quota, lasciate perdere i mercatini di Bolzano, Svizzera o Austria, e puntate dritti a Berlino, Brema, Potsdam, Amburgo… La città è indifferente: c’è un free shop in quasi tutte le principali città tedesche. Stiamo parlando di “negozi” dove tutto, dal paio di scarpe alla sedia a dondolo della nonna è gratis.Nati negli anni Novanta da quel senso pragmatico tutto tedesco declinato al sociale, la filosofia dei free shop è la stessa del baratto: perché dovrei buttare un mobile che non porterò con me nella nuova casa, un giocattolo ancora in buono stato abbandonato dal figlio cresciuto, oppure un abito che non mi sta più ma che non è rovinato?

Bando agli sprechi: a ogni cosa la sua funzione, e se non piace a me, piacerà a qualcun altro. Storia vecchia, direte. In effetti, questa rete nazionale dello scambio in Germania non è una novità e funziona piuttosto bene, stando al numero di negozi presenti nella sola Berlino.Le regole sono poche, la libertà ampia. I free shop teutonici, infatti, sono dei puristi dello scambio: posso lasciare una radio e uscire con un armadio, oppure con uno yoyo, è lo stesso. Posso anche prendermi una giacca e non lasciare niente in cambio. Se poi apprezzo l’ordine e la pulizia del locale (quando i tedeschi fanno una cosa l’efficienza non manca mai) non si disdegnano donazioni, che serviranno a mantenere in buono stato il negozio stesso. “Modello Caritas”? Nein, danke! Non stiamo parlando di onlus caritatevoli né di servizi assistenziali per i poveri. I free shop tedeschi hanno alle spalle associazioni laiche impegnate nella promozione di una concezione del possesso, degli oggetti e dell’economia fondati sui princìpi di comunità, gratuità e utilità

Gli oggetti si scambiano senza alcun vincolo non tanto per tendere una mano agli affamati o vestire gli ignudi, quanto piuttosto per adottare uno stile di vita non necessariamente consumista. Perciò, a tutti coloro che si affannano appresso ai prezzi sbarrati, che non hanno molti soldi da spendere o che vogliono aggiungere una voce alla lista delle buone intenzioni del 2013, ecco il consiglio di un articolo di parte: date un’occhiata ai siti degli umsolstladen, o anche solo a questo, http://systemfehler-berlin.de.vu/



(Osservate bene le foto: niente file davanti ai negozi, niente stress da domenica pomeriggio, niente struscio, viene quasi voglia di dire chapeau al made in Deutschland!).


Giulia.














sabato 12 gennaio 2013

"L' UTOPIA" di un Presidente: "Pepe" Mujica

In un mondo in cui si rincorrono il potere e i suoi eccessi, dove un Italia allo sbando, schiava di un'economia capitalistica, non riesce a porre le basi per un governo degno di questo nome, dove mentre un popolo piange il suo Presidente, "le grandi voci" non discutono sull'operato, ma giudicano secondo la legge del più forte, esiste l'esempio di un uomo che, pur ricoprendo la carica di maggior prestigio politico del suo Paese, non insegue i falsi miti della finanza, ma rimane ancorato all'importanza delle scelte quotidiane.

José Alberto "Pepe" Mujica Cordano.

Voce controcorrente da sempre,  José Alberto "Pepe" Mujica Cordano, Presidente dell'Uruguay, ai tempi della dittatura di Jorge Pacheco Areco, fu leader del movimento di liberazione Tupamaros, organizzazione radicale marxista ispirata alla Revolución cubana; arrestato poco prima del colpo di Stato, sconta circa 15 anni di carcere nella prigione di Punta Carretas, ne esce nel 1985 grazie all'emanazione di una legge che concede l'amnistia per tutti i reati politici e militari compiuti dal 1962. Protagonista di un percorso politico caratterizzato da una grande umanità, la vicinanza e il dialogo con la gente comune  e il prodigarsi in prima persone per le cause sociali gli varranno, infatti, la simpatia e l'appoggio del popolo che lo porteranno a vincere le elezioni presidenziali il 1 Marzo 2010.

Vegetariano, amante degli animali e convinto fautore della sostenibilità, vive in campagna a Rincón del Cerro, nella periferia di Montevideo, coltivando il suo orto e conducendo una vita frugale.

Per il suo lavoro alla guida del paese Mujica percepisce uno stipendio di 12.000 dollari al mese, di cui devolve ben il 90% a favore di Organizzazioni Non Governative e persone bisognose, non gode per scelta di nessuno di quei privilegi presidenziali che considera solo uno spreco di denaro pubblico e l'unico bene effettivamente in suo possesso è un vecchio Maggiolino degli anni '70.

Per tutte queste sue "anomalie" viene definito dai media come "il Presidente più povero del Mondo", etichetta che a Mujica sta ben stretta. “Mi chiamano il presidente più povero, ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso, e vogliono sempre di più. E’ una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per se stessi”. Convinto delle sue scelte, sostiene infatti che, in un Paese come il suo, dove ci sono più pecore che abitanti, dove la maggior parte della popolazione vive davvero con molto poco, non è affatto necessario concedersi il lusso di un inutile stipendio milionario, ritrovandosi schiavi di un'economia volta al più bieco consumismo.




"...povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e più." 
 Pepe Mujica

Fonti foto: Web
ecoV